Quando la donna è uccisa per ragioni di genere
Con il termine “femminicidio” ci si riferisce agli atti di omicidio perpetrati ai danni della donna in ragione del suo genere.


Con il termine “femminicidio” ci si riferisce agli atti di omicidio perpetrati ai danni della donna in ragione del suo genere. Sebbene l’ordinamento italiano non faccia alcun riferimento a tale nozione, il termine ha avuto nel tempo una larga diffusione, a partire dalla sua introduzione da parte della criminologa femminista Diana H. Russell all’interno di un articolo del 1992 per indicare le uccisioni delle donne da parte degli uomini, che rappresentano l’epilogo di atteggiamenti o pratiche sociali misogine.
Questa tipologia di omicidi costituiscono non solo in Italia, ma in tutto il mondo, la maggior parte dei casi di omicidi che vedono la donna come vittima e la quasi totalità di quelli commessi in ambito di coppia, in cui i femminicidi avvengono per mano soprattutto del coniuge convivente o del convivente non coniugato.
La maggior parte di questi omicidi poteva essere evitata perché le storie, spesso, vedono una lunga scia di litigi che durano per anni e che coinvolgono la polizia e gli organi giudiziari: il femminicidio, infatti, si potrebbe definire come la punta dell’iceberg del fenomeno della violenza di genere, l’ultimo atto di un’escalation di abusi, violenze e sopraffazioni. I dati ci mostrano come l’omicidio di genere nella coppia è nella maggior parte dei casi preceduto da maltrattamenti pregressi, attraverso violenze fisiche e/o psicologiche, altre forme vessatorie o persecutorie. È una strada piena di segnali quella che porta alla soppressione della donna all’interno di una relazione sentimentale.
Il movente che porta all’atto fatale è principalmente lo svilupparsi di un rapporto di gelosia- possesso, dove l’altro deve morire, secondo la logica dell’assassino, pur essendo l’oggetto della passione. A volte si arriva al suicidio dell’assassino, che così conclude il percorso di sofferenza intrapreso con l’altra persona.
I rapporti nevrotici non prevedono il riconoscimento dell’altro, la crescita dei due individui all’interno della coppia, anzi, è proprio la relazione, nella sua stabilità sbilenca, che impedisce ai due partner di evolvere, terminando la propria crescita, e prevede il perdurare dei picchi emotivi propri della fase iniziale del rapporto: ossessione per l’altro, dolore all’idea del distacco (fosse anche temporaneo o relegato ad alcuni ambiti della vita).
In un rapporto sano, al partner, dopo la prima fase in cui è idealizzato e fatto “oggetto” delle nostre brame, si riconosce l’individualità all’interno di una valutazione maggiormente obiettiva. Ci sono dei momenti di cambiamento in cui tale passaggio è compiuto, comunque la coppia è in evoluzione proprio perché ha l’obiettivo di raggiungere l’equilibrio e una felicità maggiore, data dalla presenza dell’altro nel proprio progetto di vita, che richiede grande impegno ed è fatta di tanti aspetti introdotti dalle due parti.
Nei rapporti che portano al femminicidio, esso è preceduto da una smodata gelosia dell’uomo verso la compagna, che lo porta a limitarne l’autonomia per uscire o per lavorare, al controllo delle relazioni o alla richiesta di cessarle, sino a protrarre questi atteggiamenti anche dopo la fine del rapporto; la separazione rappresenta un dolore insopportabile, dolore che alcuni omicidi indicano come la causa del gesto. Ecco perché le vittime, sentendo tale rischio incombere, annullano dei tentativi di distacco, tornando sui loro passi, o prima della morte dichiarano di percepire tale minaccia e di restare con il partner violento per paura di ritorsioni.
Da questo quadro viene fuori che l’uccisore non è caratterizzato, come a lungo la narrazione della cronaca popolare induceva a credere, da ignoranza, povertà e magari abuso di alcool o droghe, un uomo frustrato nella sua realizzazione, che sfoga tale sentimento sulla moglie.
L’uomo in questione è una persona che tollera affatto il rifiuto, la frustrazione dei propri desideri, che vive l’abbandono come un fatto ingestibile, troppo doloroso, così come la perdita dell’oggetto che vuole possedere (lui direbbe amare).
Come durante la relazione, così anche nel distacco i sentimenti si cristallizzano e l’uomo, invece di accettare la rabbia scaturita dalla chiusura del rapporto, che poi si evolverebbe in dolore, in seguito sfumato in una lettura più razionale di quanto accaduto, mantiene la rabbia al centro della sua mente e medita vendetta. La colpa del dolore provato è tutta scaricata sulla donna, oggetto di fantasie omicide, altrimenti restate tali ma che, nel caso del femminicidio, si realizzano.



